EN     IT

Prossemica

Cos'è il distanziamento sociale oggi

La mattina mi sveglio così, con questo bel quadro di Vincenzo davanti agli occhi. Il titolo è “Era l’estate”, come una poesia di Jacques Prevert. Lo guardo e per alcuni secondi non mi ricordo che fuori c’è il virus. Questo scontro di colori solari mi dà proprio l’idea della nascita del giorno, del carro di Apollo, della notte sopraffatta dalle luci dell’aurora e dell’alba, del momento propizio, “kairòs” come lo avrebbero chiamato gli antichi greci, ben diverso da “krònos” che è solo il momento in cui suona la sveglia, il tempo ordinario. Aprire gli occhi su questo quadro mi fa venire voglia di vestirmi e uscire. È proprio per questo infatti che è la prima cosa che voglio vedere quando mi sveglio.

Ma dopo una quarantena così lunga, uscire di casa mi dà la stessa sensazione di spaesamento che devono aver provato uscendo dall’uovo i tre cuccioli di gabbiano che da circa una settimana camminano sul tetto di fronte le mie finestre. Nelle gambe c’è un po’ di incertezza. Per sessanta giorni, il mondo ha avuto i confini netti di casa mia e il viaggio più lungo è stato attraversare la strada per andare a fare la spesa.

Dal senso di inadeguatezza che provo stando in strada, capisco che mi sono abituata a questa reclusione e la cosa mi fa orrore. Camminando per le strade del centro, incontro pochissima gente. Mi viene in mente qualche estate deserta passata in città da bambina, quando i negozi chiudevano ad agosto per le ferie e mi ricordo che neanche allora mi piaceva stare da sola in una città silenziosa, calda e accecante! Dovrò tenerlo presente quando camminerò di nuovo per queste strade strette e affollate di turisti! Noto che stiamo tutti bene attenti a mantenere la distanza fisica ma ci guardiamo molto più a lungo negli occhi. Prima della quarantena, sarebbe stato scortese fissare per così tanti secondi una persona incrociata per strada. Del resto, con la mascherina è molto difficile riconoscere il volto o immaginarlo. Forse abbiamo tutti sentito la mancanza gli uni degli altri anche se non ci conosciamo.

Continuo a camminare su via del Corso mentre l’anca destra comincia a farmi un po’ male. Sono completamente fuori allenamento. Però che piacere fare di nuovo questo semplice movimento di un passo dopo l’altro! Penso che sarà indispensabile modificare alcune abitudini come per esempio quella di toccare il nostro interlocutore mentre parliamo. A Roma questo tipo di contatto fisico è la norma. Conosciamo una persona da 5 minuti e già gli abbiamo sicuramente dato una o due pacche sulla spalla o toccato il braccio. Molto spesso, prima di iniziare un tour spiego ai miei ospiti questo atteggiamento tipico italiano che si intensifica man mano che si scende verso il sud della penisola perché anch’io sono tipicamente italiana da questo punto di vista. Credo sia importante esserne a conoscenza altrimenti la differente idea di prossemica, la misura delle distanze interpersonali, potrebbe creare molti malintesi, soprattutto a chi viene in Italia per la prima volta.

Passando sotto il Campidoglio, spero fortemente di avere difficoltà ad abituarmi a questo spazio di almeno un metro tra me e gli altri perché il distanziamento sociale non mi rappresenta. Trovo sia anche una contraddizione in termini perché noi siamo esseri sociali. Non voglio guardare l’altro per evitarlo ma per incontrarlo e conoscerlo!

Salgo finalmente - con un po’ di affanno - sul colle dalla scalinata progettata da Michelangelo il quale, cinque secoli fa, ha girato definitivamente verso il Vaticano l’orientamento del Campidoglio che da allora dà le spalle al Foro Romano. Sono molto emozionata di essere di nuovo qui. Le gambe ci sono arrivate da sole. Su questo colle c’è il Comune di Roma e i Musei Capitolini, il primo museo aperto al pubblico del mondo e mio fornitore ufficiale di serotonina. Al centro della piazza, la statua dell’Imperatore Marco Aurelio raffigurato a cavallo, con la mano destra alzata nel gesto della Adlocutio, il gesto tipico con cui gli imperatori invitavano la folla al silenzio prima di parlare.

E mi accorgo che ora che rimetto piede su questo amato colle, la mia attenzione potrebbe concentrarsi su molte altre cose, come ad esempio l’andatura del cavallo, il significato dei teli usati come sella, il disegno michelangiolesco del pavimento della piazza, realizzato solo nel 1940 da Mussolini. E invece, anche se la piazza è pressochè deserta, ora che Marco Aurelio e io siamo di nuovo una di fronte all’altro, l’unica cosa che penso vedendo quel suo braccio teso sono ancora una volta le nuove regole della prossemica in Italia: almeno un metro di distanza per favore, almeno un metro di distanza.

firma federica
Federica

Gallery