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I Romani: Acqua Madre Hammam

Viaggio in un'altra dimensione

Capita a volte, passeggiando per Roma, di svoltare l’angolo e attraversare senza averne un’immediata consapevolezza dei confini invisibili della città, di cui ci accorgiamo solo per contrasto e cioè quando realizziamo che siamo soli sullo sfondo di uno scenario millenario che in quel momento non ha niente a che fare con il nostro tempo.

È quello che è successo quando, lasciandomi alle spalle piazza Mattei, una delle più belle e più fotografate piazze di Roma, ho imboccato via di Sant’Ambrogio e al numero 17, mi sono ritrovata davanti al portone marrone di Acqua Madre, l’hammam di Mario Gammino.

Sulla soglia, lo scroscio ipnotico dell’acqua di una fontana dentro una vasca di travertino restaurata proprio da Mario segna per me il passaggio in un’altra dimensione: silenziosa, soffusa, leggera, profumata. Liquida. Adesso sarebbe delizioso poter dare ascolto a questa urgenza di quiete che mi viene addosso ma è la prima volta che incontro Mario.

Entrando nell’hammam, le domande che avevo preparato scompaiono completamente dalla mia testa. Sento che faccio all’improvviso molta fatica a mantenere il ruolo di intervistatrice che poi è il motivo per cui sono lì. Me ne accorgo ma non posso farci niente. Anzi, questa consapevolezza mi fa sentire in imbarazzo. Mario mi guarda. Si aspetta comprensibilmente qualche domanda dopo il “buongiorno” e anch’io me lo aspetto a dire il vero. Invece, dopo aver atteso per qualche secondo di troppo una frase intelligente, l’unica cosa che riesco a dire solo perché ormai è il caso che io dica qualcosa è: “devo togliere le scarpe?”

La tradizione dell’hammam nasce nell’ambito della cultura greco-romana con le Thermae. A Roma, le prime terme furono costruite da Agrippa, nel 25 a.C. nell’area tra Corso Vittorio Emanuele e via di Santa Chiara, proprio dov’è ora il negozio di Vincenzo. Erano rifornite dall’acquedotto Vergine, l’unico acquedotto romano ancora funzionante e che oggi alimenta, tra le altre, due famose fontane: la fontana di Trevi e la Barcaccia. I resti di questo impianto termale sono ancora visibili a via dell’Arco della Ciambella e naturalmente, visto che siamo in una città che fa del riciclo una modalità per costruire eternamente se stessa, all’interno di queste rovine, oggi ci sono delle case.

Anche l’hammam di Mario è stato tante altre cose prima di diventare hammam. Le stanze al piano di sotto erano gli antichi lavatoi del palazzo che data al XVIII secolo. La zona relax, dove ci sono le chaise longue, era il suo cortile interno, chiuso ora da un grande lucernaio. Anche Mario, l’aveva acquistato per tenerci gli attrezzi del suo lavoro e poi, probabilmente decidendo di “seguire il suo genio” per parafrasare Marguerite Yourcenar, ha trasformato il magazzino in “Acqua Madre”, il luogo separato dal resto della città da un portone di colore marrone.

“Nessuno – dice - credeva che un’idea così originale potesse superare i quattro o cinque mesi di vita in una via così nascosta e appartata del centro di Roma e anch’io ogni tanto ho pensato di essermi lanciato in un’avventura troppo grande. Tuttavia, mentre restauravo questo posto, sentivo che la sua vera vocazione era quella di diventare un hammam. E dal giorno dell’inaugurazione sono già passati tredici anni”.

Mario è una persona gentile. Vediamo insieme le sale per i massaggi, gli spogliatoi (apodyteria), la stanza per il bagno tiepido (tepidarium), caldo (calidarium), freddo (frigidarium). Forse non gli importa che io parli pochissimo. Del resto, mi rendo conto che tra queste mura che hanno deciso di votarsi alla cura e al benessere del corpo è la sensazione a predominare e per ascoltarla, bisognerebbe fare proprio quello che faccio: tacere. Mi perdo sotto gli archi in laterizio dove l’aria è più pesante, sfiorando con le dita le panche di travertino accanto alle ciotole dell’acqua, dentro questo vapore che rende le cose più morbide e gentili.

Quando concludiamo il giro, qualcosa dentro di me finalmente si sveglia e cerca di risalire arrampicandosi su una scusa qualunque pur di restare ancora un po’ in questo luogo incantato ma abbiamo già raggiunto l’ingresso e il tentativo perde subito quota al suono regolare dell’acqua che scorre nella vasca di travertino. Sarà per la prossima volta, penso.

Quando si chiude il portone marrone, resto ancora qualche minuto a girovagare per la silenziosa via di Sant’Ambrogio, l’anticamera del mio personale Stargate di oggi. Poi prendo un gran respiro, infilo gli occhiali da sole e giro un’altra volta l’angolo su piazza Mattei.

firma federica
Federica

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