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Le piene del Tevere

La città sott'acqua

Secondo un motto latino “repetita juvant”, “è utile ripetere le cose”. Quindi, io continuerò a ripetervi che Roma è una città che non finisce mai e che offre anche nei luoghi più impensati una possibilità per essere conosciuta. Per esempio, sui muri. Se la vostra attenzione rimane alta anche fuori dai musei e dai siti archeologici a pagamento, è facile che passeggiando per Roma vi imbattiate in lapidi commemorative di questo tipo.

L’alluvione del 28 dicembre 1870 fu una delle più devastanti di Roma e soprattutto avvenne a ridosso dell’Unità d’Italia. Impressionati dallo spaventoso spettacolo delle acque del Tevere che superarono i 17 metri, i nuovi sovrani decisero di mettere fine una volta per tutte alle inondazioni del tratto urbano del fiume e così dal 1876 al 1926 furono costruiti i cosiddetti “muraglioni” del Tevere e i Lungotevere. Un lavoro enorme che ancora oggi tiene la città all’asciutto ma che ha però anche spezzato il rapporto che i romani hanno sempre avuto col fiume. Se poi consideriamo che lo stesso nome “Roma” viene molto probabilmente dall’etrusco R(u)M(on) che significa “la città sul fiume”, capiamo bene quanto il Tevere sia stato determinante per lo sviluppo della città, nonostante le sue devastanti inondazioni. Ricordiamo anche che la cesta che conteneva i gemelli Romolo e Remo fu traportata proprio dalle acque fuoriuscite del fiume e che il nome Romolo viene da Roma e non viceversa.

Molte di queste lapidi le troverete proprio nella zona dove Vincenzo ha la sua bottega e cioè nella zona del Pantheon perché questa è una delle aree più basse di Roma. Infatti sulla facciata della Chiesa di S.M. sopra Minerva, quella davanti all’elefantino disegnato dal Bernini, oltre alla lapide del 1870 ve ne sono molte altre che segnano livelli impressionanti dell’acqua.

Mia nonna Vittoria, che è nata nel il 4 luglio del 1926 ricorda ancora l’ultima alluvione del Tevere del dicembre del 1937 perché abitava a via dei Giubbonari, vicino a Campo de’ Fiori e quindi da casa sua era facilissimo “andare a vedere il fiume” quasi fosse un parente da visitare per accertare il suo stato di salute. Si ricorda la gente sui ponti, la preoccupazione e l’isola Tiberina che “non si vedeva più!”. Completamente sommersa sotto l’enorme massa d’acqua! Tuttavia, anche se quelle visioni risvegliavano sicuramente nei romani antiche paure, proprio grazie ai muraglioni, i danni furono modesti.

La lapide di quest’ ultima alluvione la troverete proprio sull’isola Tiberina, sulla parete del Pronto Soccorso dell’Ospedale Fatebenefratelli mentre la lapide che attesta l’alluvione più antica ricordata è collocata ora sotto l’arco di via dei Banchi Nuovi.

Le lapidi delle alluvioni ancora visibili sui muri di Roma, secondo alcune fonti, sono circa 88. Io sono stata capace di individuarne alcune nella mia zona e vi lascio qui gli indirizzi delle strade. Se voi sarete capaci di trovarne altre, fatemi sapere!

Piazza Sant’Apollinare (sulla facciata di Palazzo Altemps)

Chiesa di S.M. della Pace (accanto agli stipiti della porta centrale)

Corso Rinascimento (dalla parte di Piazza Navona)

Piazza Sant’Eustachio (sulla facciata della chiesa)

Chiesa di S.M. sopra Minerva (sulla facciata della Chiesa)

Via della Pigna (subito dopo Palazzo Maffei-Marescotti)

Via dei Redentoristi (dove la strada diventa più piccola)

Via dei Pastini (accanto all’entrata di un ristorante)

Piazza Navona

Piazza della Rotonda

Ps: l’alluvione più alta che si ricordi è quella del 24 dicembre 1598. L’acqua del fiume raggiunse 19,56 metri. Una leggenda popolare racconta che questa alluvione lasciò a piazza di Spagna una “barcaccia”, una barca rotta dalla furia delle acque che Pietro Bernini, il padre di Gian Lorenzo, scolpì per sempre nel marmo 30 anni dopo.

firma federica
Federica

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