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Mio marito Vincenzo

Vincenzo, Orafo e Pittore

Ai numeri 60, 62 - 63 di via di Santa Chiara e quindi a due passi dalla chiesa di Sant’Eustachio che dà il nome all’ottavo rione di Roma, c’è il negozio di mio marito, Vincenzo Farella, orafo e pittore.

Naturalmente, la parte con i secchi di vernice sul pavimento, la plastica trasparente alle pareti, i pennelli in ammollo, i cavalletti e le tele di tutte le dimensioni accalcate in ogni angolo è il laboratorio dove dipinge. Niente del suo abbigliamento (e neanche del mio!) si è potuto mettere in salvo dal suo estro creativo. Neanche le scarpe! Quando l’ispirazione arriva, lui va al numero 60 e comincia a dipingere tele lunghe anche tre metri.

Ma se lo incontrerete ai numeri 62 e 63, nella gioielleria, allora lo troverete molto sobrio, col suo camice da lavoro nero indosso e il logo della bottega ricamato all’altezza del taschino.

Ufficialmente, il logo è un omaggio alla lanterna elicoidale della cupola della vicina chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza ideata dal genio di Francesco Borromini. Inoltre, noi due ci siamo incontrati proprio lì sotto.

Non crediate che nel disordine del suo studio da pittore ci sia qualcosa di artistico: è disordine puro e semplice in cui nemmeno lui è assolutamente in grado di trovare ciò che ha perso se non dopo alcuni giorni di ostinata ricerca. E in quei giorni lo si vede molto nervoso girovagare per lo studio senza alcuna intenzione di mettere in ordine ma impegnato solo a sollevare le cose per vedere se ciò che cerca ci si è nascosto sotto. Quando l’artista attraversa questi momenti, io preferisco non disturbarlo e, molto velocemente vado dall’altra parte, in gioielleria, a sbrigargli la corrispondenza al computer. Eh sì perché mio marito è veramente un artigiano e anche per mandare una mail ha bisogno di me. Quando col suo inglese vi dirà che ogni oggetto che vedete nelle sue vetrine è un vero prodotto artigianale “handmade”, credetegli! Lui e la tecnologia non hanno niente da dirsi. A casa nostra non c’è neanche il televisore! Perché lui la sera, smessi i panni dell’orafo e del pittore, accende la radio e disegna. Disegna instancabilmente con le sue belle penne dalle punte di diversa dimensione e molto spesso i sui disegni diventano anelli, orecchini, oppure ciondoli.

Le mie amiche pensano che sono fortunata ad essere la moglie di un orafo perché posso mettere tutti i gioielli che voglio. In realtà, sono fortunata ad essere sua moglie per tanti motivi ma non certo per questo: i gioielli in vetrina non si toccano. Si guardano e basta, come nei musei.

Vincenzo è una di quelle persone che sapevano fin da piccoli cosa avrebbero fatto da grandi e quindi ha cominciato a lavorare al suo sogno già a tredici anni, quando dopo la scuola, invece di tornare a casa, andava a bottega dal suo maestro, Gino, che aveva una gioielleria a via del Lavatore, vicino fontana di Trevi.

E a quell’epoca, alla fine degli anni ’80, il rione Trevi era solo uno dei tanti quartieri di Roma. I turisti c’erano sì ma non erano tanti. Il maestro lo portava a mangiare a via del Mortaro, accanto al Teatro dei Servi, nella trattoria dei suoi genitori, che a pranzo era chiusa al pubblico e apriva solo per loro.

All’età di vent’anni, supportato da suo padre, Peppino, che lo ha accompagnato fino all'ultimo sulla strada della realizzazione del suo sogno, Vincenzo ha aperto il suo primo negozio.

Poco prima della quarantena, aveva inaugurato una nuova linea di gioielli ispirandosi ai lavori di Gustav Klimt e Amedeo Modigliani. Sono i ciondoli in oro e smalto che potete vedere qui.

Il Bacio, Gustav Klimt, Oro e Smalto

firma federica
Federica

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