EN     IT

La quarantena e il Silenzio

Silenzio sui tetti di Roma

Fino a qualche giorno prima del lockdown, dalle finestre del mio soggiorno arrivavano voci di gente che parlava le lingue più diverse e, visto che abito in una via stretta e poco trafficata, da quassù, senza troppa fatica, si potevano ascoltare anche intere conversazioni di persone al telefono che condividevano con tutto il condominio buona parte della loro vita privata riguardante soprattutto questioni sentimentali a dir poco sfortunate.

Le parole che non riuscivano ad oltrepassare i vetri integre si frantumavano nell’aria di Roma in una caduta costante di vocali e consonanti per trasformarsi in rumore di fondo indistinto, sostenuto dal traffico più o meno regolare del vicino Corso Vittorio Emanuele. Solo le campane delle chiese che segnano le ore del giorno riuscivano momentaneamente a sovrastare questo mix di pezzi di conversazioni multilingue, motori accesi, ruote di trolley sui sanpietrini, pulendo ad ogni rintocco l’aria. E mi rendo conto ora che per comunicare durante i tour, dovevo urlare anch’io sforzando molto le corde vocali. Chissà quanti pezzi di mie parole sono finiti nella macina del rumore di fondo contribuendo ad alzarne il volume!? Molte sere tornando a casa, mi bruciava la gola. Allora Vincenzo, esprimendosi anche lui a gesti per empatia si metteva l’indice davanti al naso come per dire “non parlare!”, stendeva il braccio indicando il divano e io interpretavo questa mimica come: “riposati! Penso io a preparare la cena e ti porto anche da bere”. Funzionava!

Con la quarantena invece, sui tetti di Roma c’è silenzio. Dalle strade non rimbalza alcuna voce e paradossalmente questa indifferenza acustica tra il giorno e la notte mi crea difficoltà con il sonno. C’è una gran confusione tra il giorno e la notte perché i rumori che caratterizzano le due parti del giorno ora si equivalgono.

I romani nel centro storico sono pochi. La maggior parte degli appartamenti è stato trasformato in B&B o in uffici. Non ci sono trolley né cuori spezzati al telefono per strada. Si sentono ancora distintamente le campane, le grida dei gabbiani che non hanno abbandonato la città nonostante la diminuita disponibilità di cibo, il fruscio delle loro ali in volo, le sirene delle ambulanze che mi danno non poca inquietudine e lo stridore delle ruote del tram quando fanno la curva a Largo Argentina per andare a Trastevere o a piazza Venezia.

Ieri pomeriggio da una chiostrina qui vicino mi ha raggiunto il rumore di un pallone che rimbalzava sui muri e mi è sembrato un piccolo miracolo. Ho immaginato un bambino a giocare da solo ma non sono riuscita a vedere nessuno né alcuna voce è salita fin quassù.

A mezzogiorno però, a seconda di come tira il vento, poco prima che le campane inizino a suonare, si può essere sorpresi da un suono del tutto inaspettato e nuovo: il colpo di cannone sparato dal Gianicolo. Con l’assenza di rumori, dalle finestre entra d’improvviso un suono sordo, che viene da lontano: bum! che mi riporta indietro, a quando da bambina mi portavano a fare le analisi del sangue e mi promettevano ogni volta che se fossi stata brava, mi avrebbero poi portato a vedere lo sparo del cannone. Sì perché sul Gianicolo c’è anche il Bambin Gesù, l’ospedale pediatrico di Roma. Quelle sì che erano belle mattinate: quando mi toglievano il sangue, per colazione mia madre mi lasciava mangiare tutto quello che volevo. Anche le schifezze! Lassù, sul colle del Gianicolo, dove sparava il cannone, c’era un tempo sospeso in cui vita si riempiva di possibilità ed eventi eccezionali, un tempo nettamente separato dalla vita che facevamo tutti i giorni e che ci si riattaccava addosso appena cominciavano la discesa. Insomma, chi l’aveva mai visto un cannone?

L’uso di segnare il tempo con salve di cannone fu introdotto nel dicembre del 1847 da Papa Pio IX per mettere d’accordo tutte le campane della città nel conto delle ore anche se a dire la verità dove vivo io qualche campanile fa ancora la gara e suona qualche secondo prima degli altri. Nei limiti dei secondi comunque.

In origine, il mezzogiorno era stabilito dall’Osservatorio del Collegio Romano e indicato da una pallina che cadeva lungo un’asta posta sul tetto della Chiesa di Sant’Ignazio. Un soldato osservava dal Gianicolo la caduta della pallina con un binocolo e dava il segnale per il cannone.

La tradizione dello sparo a mezzogiorno cominciò a Castel Sant’Angelo ma nel 1904 il cannone venne trasferito al Gianicolo. Questa usanza fu sospesa solo durante la seconda guerra mondiale probabilmente per non turbare la popolazione di Roma. In effetti, il colpo è così potente e inaspettato che se un turista non al corrente di questa tradizione, si trovasse vicino al Gianicolo a mezzogiorno si spaventerebbe non poco a sentir lo sparo!

Per ironia della sorte o forse per sottolineare chi comanda a Roma dopo il 1870 (anno dell’Unità d’Italia e della fine dello Stato pontificio e del potere temporale dei Papi), uno dei cannoni usati per mettere d’accordo tutti i campanili a mezzogiorno fu proprio uno di quelli usati dall’esercito del Regno d’Italia per conquistare la Roma dei Papi durante la breccia di Porta Pia.

L’usanza del cannone fu ripresa il 21 aprile del 1959, in occasione del 2712° compleanno di Roma ed evidentemente neanche il virus è riuscito ad interromperla!

firma federica
Federica

Gallery